Rialc Rao 59.10 |
La Comèdia de Dant |
Andreu
Febrer
Paradís
I
1 La gloria d’aquell qui mou quant es |
1
La gloria di colui che tutto move 2 per l’universo penetra, e risplende 3 in una parte più e meno altrove. 4 Nel ciel che più de la sua luce prende 5 fu’ io, e vidi cose che ridire 6 né sa né può chi di là sù discende; 7 perché appressando sé al suo disire, 8 nostro intelletto si profonda tanto, 9 che dietro la memoria non può ire. 10 Veramente quant’io del regno santo 11 ne la mia mente potei far tesoro, 12 sarà ora materia del mio canto. 13 O buono Appollo, a l’ultimo lavoro 14 fammi del tuo valor sì fatto vaso, 15 come dimandi a dar l’amato alloro. 16 Infino a qui l’un giogo di Parnaso 17 assai mi fu; ma or con amendue 18 m’è uopo intrar ne l’aringo rimaso. 19 Entra nel petto mio, e spira tue 20 sì come quando Marsia traesti 21 de la vagina de le membra sue. 22 O divina virtù, se mi ti presti 23 tanto che l’ombra del beato regno 24 segnata nel mio capo io manifesti, 25 vedra’mi al piè del tuo diletto legno 26 venire, e coronarmi de le foglie 27 che la materia e tu mi farai degno. 28 Sì rade volte, padre, se ne coglie 29 per triunfare o cesare o poeta, 30 colpa e vergogna de l’umane voglie, 31 che parturir letizia in su la lieta 32 delfica deità dovria la fronda 33 peneia, quando alcun di sé asseta. 34 Poca favilla gran fiamma seconda: 35 forse di retro a me con miglior voci 36 si pregherà perché Cirra risponda. 37 Surge ai mortali per diverse foci 38 la lucerna del mondo; ma da quella 39 che quattro cerchi giugne con tre croci, 40 con miglior corso e con migliore stella 41 esce congiunta, e la mondana cera 42 più a suo modo tempera e suggella. 43 Fatto avea di là mane e di qua sera 44 tal foce, e quasi tutto era là bianco 45 quello emisperio, e l’altra parte nera, 46 quando Beatrice in sul sinistro fianco 47 vidi rivolta e riguardar nel sole: 48 aquila sì non li s’affisse unquanco. 49 E sì come secondo raggio suole 50 uscir del primo e risalire in suso, 51 pur come pelegrin che tornar vuole, 52 così de l’atto suo, per li occhi infuso 53 ne l’imagine mia, il mio si fece, 54 e fissi li occhi al sole oltre nostr’uso. 55 Molto è licito là, che qui non lece 56 a le nostre virtù, mercé del loco 57 fatto per proprio de l’umana spece. 58 Io nol soffersi molto, né sì poco, 59 ch’io nol vedessi sfavillar dintorno, 60 com’ferro che bogliente esce del foco; 61 e di sùbito parve giorno a giorno 62 essere aggiunto, come quei che puote 63 avesse il ciel d’un altro sole addorno. 64 Beatrice tutta ne l’etterne rote 65 fissa con li occhi stava; e io in lei 66 le luci fissi, di là sù rimote. 67 Nel suo aspetto tal dentro mi fei, 68 qual si fé Glauco nel gustar de l’erba 69 che ’l fé consorto in mar de li altri dèi. 70 Trasumanar significar per verba 71 non si poria; però l’essemplo basti 72 a cui esperienza grazia serba. 73 S’i’ era sol di me quel che creasti 74 novellamente, amor che ’l ciel governi, 75 tu ’l sai, che col tuo lume mi levasti. 76 Quando la rota che tu sempiterni 77 desiderato, a sé mi fece atteso 78 con l’armonia che temperi e discerni, 79 parvemi tanto allor del cielo acceso 80 de la fiamma del sol, che pioggia o fiume 81 lago non fece alcun tanto disteso. 82 La novità del suono e ’l grande lume 83 di lor cagion m’accesero un disio 84 mai non sentito di cotanto acume. 85 Ond’ella, che vedea me sì com’io, 86 a quietarmi l’animo commosso, 87 pria ch’io a dimandar, la bocca aprio, 88 e cominciò: «Tu stesso ti fai grosso 89 col falso imaginar, sì che non vedi 90 ciò che vedresti se l’avessi scosso. 91 Tu non se’ in terra, sì come tu credi; 92 ma folgore, fuggendo il proprio sito, 93 non corse come tu ch’ad esso riedi». 94 S’io fui del primo dubbio disvestito 95 per le sorrise parolette brevi, 96 dentro ad un nuovo più fu’ inretito, 97 e dissi: «Già contento requievi 98 di grande ammirazion; ma ora ammiro 99 com’io trascenda questi corpi levi». 100 Ond’ella, appresso d’un pio sospiro, 101 li occhi drizzò ver’ me con quel sembiante 102 che madre fa sovra figlio deliro, 103 e cominciò: «Le cose tutte quante 104 hanno ordine tra loro, e questo è forma 105 che l’universo a Dio fa simigliante. 106 Qui veggion l’alte creature l’orma 107 de l’etterno valore, il qual è fine 108 al quale è fatta la toccata norma. 109 Ne l’ordine ch’io dico sono accline 110 tutte nature, per diverse sorti, 111 più al principio loro e men vicine; 112 onde si muovono a diversi porti 113 per lo gran mar de l’essere, e ciascuna 114 con istinto a lei dato che la porti. 115 Questi ne porta il foco inver’ la luna; 116 questi ne’ cor mortali è permotore; 117 questi la terra in sé stringe e aduna; 118 né pur le creature che son fore 119 d’intelligenza quest’arco saetta 120 ma quelle c’hanno intelletto e amore. 121 La provedenza, che cotanto assetta, 122 del suo lume fa ’l ciel sempre quieto 123 nel qual si volge quel c’ha maggior fretta; 124 e ora lì, come a sito decreto, 125 cen porta la virtù di quella corda 126 che ciò che scocca drizza in segno lieto. 127 Vero è che, come forma non s’accorda 128 molte fiate a l’intenzion de l’arte, 129 perch’a risponder la materia è sorda, 130 così da questo corso si diparte 131 talor la creatura, c’ha podere 132 di piegar, così pinta, in altra parte; 133 e sì come veder si può cadere 134 foco di nube, sì l’impeto primo 135 l’atterra torto da falso piacere. 136 Non dei più ammirar, se bene stimo, 137 lo tuo salir, se non come d’un rivo 138 se d’alto monte scende giuso ad imo. 139 Maraviglia sarebbe in te se, privo 140 d’impedimento, giù ti fossi assiso, 141 com’a terra quiete in foco vivo». 142 Quinci rivolse inver’ lo cielo il viso. |
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