Convegno internazionale

Lessico, parole-chiave, strutture letterarie del Medioevo romanzo

(Università della Calabria, 24-25 novembre 2000)


Il Rialc. Bildungsroman di un web

 

 

 

 

 

 

 

È superfluo presentare qui nei dettagli il Rialc, perché tutti voi, o quasi, lo conoscete già. Brevemente, per chi non lo conoscesse, il Repertorio informatizzato dell’antica letteratura catalana raccoglie tutta la poesia occitano-catalana e catalana, senza distinzione di generi, dalla fine del XIII secolo all’inizio del XVI. Questo corpus è proposto: 1) in edizioni critiche recepite senza nessun intervento o comunque senza interventi di rilievo; 2) in edizioni critiche riviste sui manoscritti, con le necessarie note di apparato; e 3) in nuove edizioni critiche con un normale apparato. Il repertorio include un numero non piccolo di inediti, pubblicati qui per la prima volta, e alcune decine di testi precedentemente non repertoriati. Tutti i testi sono presentati secondo criteri grafici uniformi, in particolare nell’uso dei segni diacritici.

Fino ad oggi, 25 novembre 2000, sono stati immessi 1290 testi, dei circa 1500 previsti. Il Rialc si avvia perciò al completamento, anche se mancano testi narrativi di una certa lunghezza, come la Bibbia di Siviglia, di 28.000 versi, che è in preparazione. Non abbiamo fatto conti precisi, ma l’estensione complessiva sembra superare di almeno un terzo il corpus dei trovatori occitani: anche se le poesie liriche dei trovatori sono, secondo il calcolo di Frank, 2542 (più qualche aggiunta successiva), cioè più delle nostre 1500, la lunghezza media delle poesie catalane è maggiore di quella dei trovatori. Inoltre, come si è detto, il Rialc comprende tutta la produzione in versi, narrativa e teatro compresi, non solo la lirica (una distinzione in ambito catalano tra poesia lirica e non lirica è teoricamente insostenibile: basti pensare a Ramon Llull e a Ausiàs March).

Accanto al Rialc, la Biblioteca del Rialc ospita testi che, pur esorbitando dalla cronologia del repertorio o dall’area di provenienza degli autori, fanno riferimento alla cultura e all’ambiente storico dei Paesi Catalani in età medievale: tra questi, per esempio, il Jaufre e, prossimamente, la Flamenca, entrambi in nuove edizioni critiche ancora inedite a stampa. Il web contiene infine al suo interno una rivista di libri, in cui si segnalano o si recensiscono pubblicazioni di filologia catalana medievale.

Il lavoro filologico è stato svolto e si svolge in stretta collaborazione tra il gruppo napoletano e quello catalano (Università Autònoma di Barcellona e di Girona), coordinato da Lola Badia. Dell’ideazione, della progettazione grafica e della realizzazione materiale del web sono responsabili Costanzo Di Girolamo e Claudio Franchi che, per i motivi che spiegheremo fra qualche minuto, non si sono serviti di nessun aiuto tecnico esterno.

 

*   *   *

 

Ci si può chiedere se i web abbiano un periodo di formazione, una gioventù problematica e irrequieta… Perché no, se un web come questo è in fondo una creatura vivente, mutevole, che può nel corso del tempo modificare e correggere i suoi percorsi e i suoi obiettivi. Il Bildungsroman che molto in breve racconteremo ripercorre proprio una storia di errori, di aggiustamenti, di conquiste di nuovi obiettivi.

Il primo errore (questo è solo un aneddoto) è stato la scelta del logo della nave, per l’esattezza una cocca: il logo lo prendemmo da una stampa del 1518 del Libre del Consolat de mar, un trattato di diritto marittimo il cui nucleo originario è anteriore al secolo XIV, più volte ristampato a partire dal 1484 (con cocche simili) e tradotto in altre lingue. Purtroppo, qualcuno più attento di noi ci fece notare che la vela reca le armi del Portogallo, e questo non è piaciuto molto ad alcuni amici catalanisti catalani… Resta un mistero, nonostante le ricerche che abbiamo poi fatto, la presenza di armi portoghesi nel frontespizio di un’opera catalanissima: forse la nave è portoghese, ci ha suggerito uno storico, perché, all’epoca, portoghesi erano le navi più veloci e robuste. Alla fine, abbiamo deciso di non cambiare il logo, anche se continuiamo a chiederci se sia stata una scelta politicamente corretta.

Venendo a cose più serie, nella sua fase iniziale, quando nel 1997 fu richiesto il finanziamento al Ministero, il Rialc si proponeva come una semplice banca di dati testuali (la prima riguardante il catalano medievale) finalizzata alla creazione di una concordanza, da affidare a un disco. Il calcolo dei testi inediti e di quelli in precarie condizioni era stato del tutto impreciso: sapevamo che ce n’erano, ma ne avevamo di gran lunga sottovalutato il numero. Per usare un eufemismo, si può dire che quello catalano è un corpus poetico ancora in via di assestamento filologico, per motivi di ordine storico, e accademico, facilmente intuibili. Il lavoro di revisione perfino delle edizioni giudicate accettabili o buone si è presentato come enorme e, beninteso, non è affatto terminato.

Intanto, si accumulavano nuove edizioni. Per alcuni autori, siamo stati in grado di giustapporre due (in futuro anche tre o quattro) edizioni distinte: e ciò anche per prevenire l’obiezione, non infondata, che un’edizione messa in rete finirebbe per diventare fatalmente l’edizione di riferimento, l’unica a cui pigramente attingere. Insomma, quella che doveva essere in origine una semplice base di dati da tenere chiusa negli ingranaggi grigi del computer o nei microsolchi di un disco per essere evocata, a brandelli, al momento della consultazione della concordanza stava diventando qualcosa di autonomo, una biblioteca in chiaro, problematica quanto si vuole, ma giustificabile di per sé. Va anche detto che una parte non piccola del corpus è difficilmente accessibile in edizioni a stampa, spesso introvabili finanche nelle principali biblioteche catalane. Mettere in rete questi testi significava dare a essi nuova vita, quasi per la prima volta. Per la prima volta in senso stretto è stato il singolare caso dell’edizione, a cura di Ramon Aramon i Serra, del Cançoner de l’Ateneu. Quest’edizione, giudicata da tutti esemplare, si è arrestata alle bozze di stampa, risalenti al 1953: bozze che hanno avuto però un’intensa circolazione, autorizzata dall’autore, tra gli studiosi catalani: qualsiasi futura (ri-)edizione di questo canzoniere non potrà non tenerne conto né potrà fingere di ignorarle. In un caso come questo abbiamo deciso di utilizzare il testo edito-inedito di Aramon, attribuendogli tutto il merito che gli spetta.

Se siamo riusciti a allestire una biblioteca in chiaro lo dobbiamo soprattutto alla comprensione e alla collaborazione di quanti, filologi e responsabili delle case editrici, ci hanno autorizzati a utilizzare i testi delle edizioni. Nessuno si è opposto. Se qualcuno l’avesse fatto, l’inevitabile contromisura, a cui ad ogni modo eravamo preparati, sarebbe stata di rieditare i testi vietati. Molti editori ci hanno anticipato delle edizioni che in futuro appariranno a stampa. Ogni testo rimane comunque aperto a future correzioni e a qualsiasi tipo di intervento successivo che l’editore (o noi) intendesse apportare in futuro. Anche per questi motivi, abbiamo decisamente optato per internet piuttosto che per il disco: solo internet può garantire un aggiornamento continuo.

Abbiamo utilizzato, ma senza esagerare, tutte le potenzialità del linguaggio ipertestuale: testi in rapporto tra loro sono stati collegati in modo da poter passare immediatamente dagli uni agli altri; sono state create pagine sinottiche con qualche vantaggio in più rispetto alle sinossi possibili nella stampa; gli apparati di testi molto lunghi sono stati messi nel frame di sinistra, in modo da essere immediatamente consultabili con un colpo d’occhio; e così via. Altro si potrà ancora fare, ma non ci illudiamo che questi modesti espedienti modifichino i metodi delle edizioni e l’uso che se ne può fare. L’aspetto rivoluzionario, non trascurabile, risiede in altro, come diremo subito.

A un certo punto il web ha preso coscienza, o noi per esso, di non essere più una semplice banca di dati testuali, ma qualcosa di completamente diverso. Lo spunto per un’opportuna autoriflessione ci è stato fornito dall’invito della Bibliothèque nationale de France a presentarlo al convegno sulle biblioteche digitali che si è tenuto a giugno di quest’anno. Come tutti sanno, un viaggio può segnare una svolta significativa in una formazione: spesso, proprio un viaggio a Parigi... Naturalmente, noi conoscevamo bene, e da tempo, Parigi, e sapevamo anche che a Parigi ci sono moltissimi francesi; ma il nostro giovane web no. Per l’occasione, ci siamo messi a studiare tutte le biblioteche digitali esistenti (contrariamente a ogni aspettativa, in rete non ne esistono moltissime) e abbiamo scoperto che, per le sue caratteristiche, il Rialc è praticamente unico nel suo genere. Cosa che ci è stata confermata dagli altri partecipanti all’incontro, a cominciare dagli stessi francesi. Riassumiamo la presa di posizione teorica che abbiamo esposto a Parigi, che ha avuto qualche eco perfino nella stampa quotidiana e poi nel bollettino della Bibliothèque nationale.

 

*   *   *

 

Il Rialc è al tempo stesso un progetto filologico e un progetto informatico. La sua finalità non consiste, o non consiste solo, nella preparazione di una banca di dati per ricerche lessicali o metriche, né nella realizzazione di una semplice biblioteca digitale; consiste anzitutto nella messa a punto filologica di un vasto corpus testuale. Questa esigenza, se è pressante per il catalano, è presente anche per altre letterature medievali, compresa la francese e l’occitana: anche qui un buon numero di edizioni andrebbe rivisto o rifatto. Il Rialc potrebbe costituire un modello di utilizzo della rete in vista di una revisione filologica permanente del patrimonio testuale europeo che è alle origini della modernità.

Tale obiettivo non è realizzabile che a certe condizioni. La prima è che cadano le barriere tra il filologo e l’informatico: il filologo deve potere accedere alla produzione informatica e agire in prima persona senza dover delegare niente al tecnico. In un certo senso, abbiamo fatto di necessità virtù: le ristrettezze economiche e le panie burocratiche (non solo la ferma avversione alla divisione del lavoro) ci hanno costretti a non dover dipendere da nessuno, e questo è stato un fatto positivo, che abbiamo apprezzato successivamente. Di qui il carattere per così dire artigianale del nostro web, sulle cui qualità estetiche e funzionali non spetta a noi giudicare.

Un’altra condizione essenziale per la creazione di biblioteche digitali rigorosamente scientifiche è che si rimetta in discussione la questione dei diritti d’autore delle edizioni dei testi antichi. Ognuno ha il diritto di leggere il Roman de la Rose o la Divina Commedia in buone edizioni, e noi pensiamo che i filologi, i bibliotecari e gli informatici dovrebbero lanciare una campagna per la liberalizzazione delle edizioni. È solo a queste condizioni che progetti di biblioteche come il Rialc potranno vedere la luce. Vorremmo anche aggiungere che le biblioteche digitali finora realizzate non sono che degli incunaboli rispetto a ciò che potranno diventare in futuro: senza rendercene conto, stiamo assistendo a una rivoluzione di una portata forse ben maggiore rispetto a quella che segnò il passaggio dal libro manoscritto alla Galassia Gutenberg.

Una biblioteca digitale, dunque, come organismo vivente. A questo proposito, vorremmo tracciare, per concludere, una distinzione teorica tra due tipi di biblioteche digitali.

Il primo tipo è dato da biblioteche che si servono della rete per permettere la lettura di testi normalmente già stampati. I testi sono riprodotti, senza modifiche e senza controlli, da edizioni esistenti; è frequente che non si indichi nemmeno l’edizione di origine. In effetti andrebbe ricordato che anche le opere di Cervantes, di Shakespeare o di Stendhal possono variare in dettagli non secondari da un’edizione critica all’altra. Una volta introdotti, i testi non sono più modificati. Queste biblioteche digitali hanno lo scopo di sostituirsi alle biblioteche cartacee, sono delle biblioteche cartacee virtuali; la loro funzione è prevalentemente divulgativa, ma esse possono servire, se utilizzate con cautela, anche a fini di ricerca e di didattica. La loro utilità è fuori discussione: l’accesso alle opere è rapido e economico, può avvenire in ogni parte del mondo. Definiamo queste biblioteche delle biblioteche digitali statiche. Un altro genere, un genere speciale di biblioteche statiche, è dato dalle biblioteche di immagini: il libro stampato o manoscritto viene riprodotto pagina per pagina in formato immagine. Questo genere di biblioteche, che sostituirà il vecchio sistema dei microfilm e delle fotocopie, è importante per la protezione e per la consultazione a distanza del patrimonio librario, ed è particolarmente adatto per i manoscritti e per i libri rari. È il sistema preferito dalla Bibliothèque nationale de France. È superfluo ricordare che in formato immagine i dati non possono essere trattati ma solo letti.

Il secondo tipo di biblioteche digitali ingloba tutte le finalità e le modalità di utilizzazione del primo tipo, salvo che il fine della divulgazione è subordinato a quello della ricerca. In questo tipo di biblioteche, tutte le edizioni sono dichiarate; i testi vengono controllati e corretti, vale a dire migliorati rispetto alle edizioni stampate; qualsiasi intervento viene giustificato; sono proposte nuove edizioni o più edizioni per lo stesso testo o edizioni di testi inediti; c’è la partecipazione diretta di tutta la comunità scientifica del settore; le edizioni pubblicate in rete possono precedere le edizioni a stampa. Inoltre, tratto fondamentale di questo secondo tipo di biblioteche, il corpus è aperto a correzioni continue e perfino alla revisione radicale. Definiamo queste biblioteche delle biblioteche digitali dinamiche. Beninteso, una biblioteca digitale dinamica può contenere al suo interno anche una biblioteca di immagini: per esempio, i testi editi possono essere accompagnati dalla riproduzione dei manoscritti o delle antiche edizioni.

Sostituendo il piano metaforico normalmente utilizzato per la rete, cioè quello topografico-spaziale, con un piano metaforico biologico, potremmo parlare, per il Rialc, di un organismo testuale dinamico in grado di crescere, di trasformarsi e di iscrivere nel proprio corpo (o corpus) la realtà esterna a sé, che nel nostro caso è rappresentata dalla ricerca filologica pura, dalle trasformazioni tecnologiche e dall’interazione tra l’una e le altre. In sostanza, una biblioteca digitale dinamica può riuscire a fare qualcosa che nessuna casa editrice, nessuna collezione di classici, nessuna rivista potrebbe mai realizzare: la messa a giorno continua del patrimonio testuale. Con le biblioteche dinamiche la filologia trova in internet uno strumento potente e che può essere utilizzato al pieno delle sue possibilità al servizio della ricerca, dell’insegnamento e della cultura.

 

Costanzo Di Girolamo    Claudio Franchi    Donatella Siviero* 

 

 

* Questo testo è stato letto da Donatella Siviero nel corso della presentazione del web.